mercoledì 23 luglio 2014

Ho detestato e sofferto il liceo: per buona parte dei docenti, per la maggior parte dei compagni di classe, di corridoio, di struttura. Ho detestato l'adolescenza mia e del resto del mondo finché ci sono stata dentro.
Prima di andarmene, però, ho regalato un libro ad ognuno dei compagni di classe. C'era che in fondo avevamo fatto 42 ore settimanali insieme per cinque anni, c'era che alcune prime volte della vita, costretti dalla provvidenza, dal caso o dal destino, ci eravamo trovati a viverle insieme. Un po' come prigionieri, avevamo protetto e messo a nudo le nostre intimità. La cosa meritava un regalo d'addio e di futuro e quel regalo non poteva essere se non un libro.

Nel gli anni, mi arriva la notizia di qualcuno di questi noi dispersi che ha letto il libro donato e che ne è stato felice. La letteratura non è inutile. La speranza non è vana. E la preveggenza si difende bene, anche.

Questo detto rimane una carovana di fantasmi con ricco bagaglio di ansie che girovagano per il mio deserto arancione, corrono e sollevano polvere nell'arsura cocente di addii, di soffi di morte, di necessità di iniziare a scrivere
a. la letteratura del futuro
b. la teoria letteraria del futuro

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